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giovedì 19 novembre 2015

Taglio cesareo, capitolo 2: le emozioni

Ciao amiche,
eccoci al secondo capitolo sul sorriso che non si è ben capito se sorride veramente oppure no (il capitolo 1 lo trovi qua).
Prima di tutto vorrei specificare una cosa. Spesso scrivo con tono amichevole e scherzoso anche quando parlo di queste tematiche delicate. E’ chiaro che la mia intenzione è semplicemente quella di sdrammatizzare leggermente per non esagerare nella tragicità, ma non per questo voglio sminuire l’argomento, anzi. Se non lo ritenessi estremamente serio e importante non mi sarei nemmeno messa a condurre questo genere di ricerca.
Detto questo..spero che il primo articolo vi sia piaciuto e credo che vi ci siate potute ritrovare, dal momento che sono rimasta il più fedele possibile alle vostre risposte.
Grazie per aver commentato e condiviso il primo articolo, ho letto con piacere che è stato d’aiuto a molte di voi, che hanno compreso di non essere sole in questa situazione e si sono ritrovate nelle descrizioni.
In questa nuova analisi delle risposte affronterò l’argomento più dal punto di vista emozionale che non fisico, in particolare per quanto riguarda le risposte alle seguenti domande:


7. L'idea di essere tagliata in quel modo ti ha turbata? Senti che quel taglio si è richiuso completamente o c'è qualcosa di non risolto? E a livello emotivo? 

8. Provi dei sensi di colpa per te o per tua/o figlia/o?

Come l’altra volta suddivido per argomenti, mi sembra più semplice da capire e più ordinato.

1. Quella ferita che non si chiude
Non accetto questo taglio perché mi ha e mi provoca tanta paura per una futura gravidanza, il fatto di aver "partorito" con taglio cesareo non mi da fastidio anzi devo solo ringraziare chi ha deciso per me, perché in questo modo ha salvato me ed il mio bambino. Quindi ad oggi non è tutto richiuso completamente e temo che non lo sarà MAI."
"Sono devastata da questa esperienza e non mi piace esserlo."
 "Ero contraria al cesareo e devo ancora superare completamente la questione, ogni volta che ci penso mi viene il magone e credo rimarrà una questione irrisolta x lungo tempo, diciamo che la ferita più  grossa è quella emotiva"
"La mia cicatrice evoca i miei sensi di colpa, toccarla mi provoca fastidio, vergogna e soprattutto un'accecante rabbia"
"Ci ho messo un anno per riprendermi psicologicamente da quello che ho vissuto come un insuccesso. L'incapacità di mettere al mondo la mia bambina! Ho provato tanta frustrazione pur sapendo di aver fatto la cosa giusta."
"L’idea di essere stata tagliata mi ha turbata moltissimo e mi turba ancora adesso. Per me quello non è stato un parto, non è stata una nascita. Mi hanno tagliata e hanno tirato fuori mio figlio."
"è una cicatrice che non si chiuderà  mai a livello emotivo"

Purtroppo una cicatrice non è solo una cicatrice. È una ferita, tra l’altro molto profonda, carica di emozioni e stati d’animo. Le cicatrici, in generale, rappresentano una sorta di confine tra la vita e la morte, dal momento che si crea un’interruzione nella nostra integrità, ci scopriamo fragili e vulnerabili e iniziamo a temere per la nostra stessa sopravvivenza. Non a caso c’è fuoriuscita di sangue, dal colore rosso, il colore dell’energia di base e della sopravvivenza del corpo fisico. Tutto questo è accentuato dalla possibilità terribile che anche al proprio bambino possa capitare qualcosa, pensiero annientante per una donna. Alla paura si aggiunge la sensazione di assoluta impotenza in quel momento come se non ci fosse nulla che tu, mamma, possa fare mentre tuo figlio viene tirato fuori dalla tua pancia. Non puoi agevolargli il passaggio, non puoi consolarlo, non puoi rassicurarlo. Non puoi permettergli di vivere l’esperienza così come natura ha deciso. E lo sai. Non sai cosa pensare, non sai se essere felice o se tormentarti per quanto è accaduto. Ecco cosa tiene viva quella ferita. Lo squarcio che si è aperto dentro di te, che ti divide tra la gioia e il dolore che combattono quotidianamente e non trovano pace. Una battaglia intestina, viscerale, interna e profonda che non ti permette di sentirti integra.

2. I sensi di colpa
“Sì, mi sento un colpa perché se mi fossi informata prima... se avessi avuto più Consapevolezza del mio corpo e del mio essere donna e madre quei due tagli cesarei avrei potuto evitarli…”ù
“Un po’ d senso di colpa x la paura che avrà provato mia figlia”
“Sì, li ho provati eccome e li provo ancora adesso perché so che quel cesareo era evitabile se io fossi stata più preparata e con una testa diversa…”
“I sensi di colpa verso mio figlio mi hanno accompagnata a lungo”
“Dopo qualche tempo ho cominciato ad incolparmi per non essere stata in grado di partorire”

“La mia cicatrice evoca i miei sensi di colpa, toccarla mi provoca fastidio, vergogna e soprattutto un'accecante rabbia. “
Su questo tema ho letto moltissimo in vari blog in internet. Ci sono mamme che si sentono di serie B o incomplete per non aver potuto partorire naturalmente, il senso di colpa per non esser riuscite le insegue per anni. Spesso l’unica terapia è solo un successivo parto naturale. Una seconda occasione, un riscatto finale. Purtroppo il senso di colpa non sparisce leggendo un blog, o se qualcuno ti dice “ tranquilla, hai fatto del tuo meglio”. Perché è impresso in profondità nella memoria di quella ferita, è inciso nella carne e molte di voi ad un certo punto non lo raccontano più. Lo reprimono, non ne parlano. Sanno che non riescono a farsi capire. Sanno che gli altri fuori, quelli che non l’hanno provato, non capiscono.
Per questo è fondamentale che parliate tra di voi. Uscire dal vostro senso di solitudine e di incomprensione è la via più efficace per andare dentro quella ferita e colorarla di oro, come fanno i giapponesi.
Sapete come fanno i giapponesi quando un vaso si rompe, si crepa.. si ferisce? Si chiama Kintsugi, probabilmente la conoscete già ed è la tecnica grazie alla quale i giapponesi recuperano e ridonano valore ad oggetti rotti. Li aggiustano e piuttosto che cercare di nascondere la rottura “tacconando” con attack e vari altri stratagemmi, dipingono la crepa con l’oro per ricordarsi che dalla lenta riparazione conseguente la rottura può nascere una forma di bellezza superiore, con una sua armonia quasi artistica. Io l’ho fatto qualche tempo fa, quando ho deciso di aggiustare questo vaso che mi era stato regalato e che ho accidentalmente fatto cadere.Parlare di questa tecnica potrebbe far pensare che io voglia suggerire di abbellire la cicatrice con qualche tatuaggio o facendole i ghirigori intorno per farla sembrare più bella. Ma non è affatto questo il senso, così come non lo è per i giapponesi stessi. Non è certo nascondendola sotto un disegnino dorato che guarisce.
L’invito è tutt’altro. Prima di tutto l’invito è a guardarla. Mi rivolgo a te in prima persona, guarda la tua ferita, osservala e non aver paura di ciò che emerge da lì sotto. Lascia che emerga, lascia spazio, lascia che quella ferita si tinga d’oro mentre diventa via di passaggio verso la tua libertà. Osservala come se fosse una fessura che permette alla luce di attraversarti. La luce guarisce. Te lo dice una che coi colori della luce ci lavora quotidianamente. La vedi la tua ferita come brilla? Brilla perché lì dentro ci sei tu, brilla perché è viva, brilla perchè è la tua storia, brilla perché è la tua crescita, il mattone della tua forza, il sasso su cui sei salita per vedere più lontano, la prova che hai superato per diventare più donna. Non temerla, sei tu.

 A presto,
Lucia

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